I fenomeni migratori sono molto discussi ma non conosciuti, né studiati. I migranti, brutti sporchi e cattivi, vengono utilizzati per definire la propria identità politica e per aggregare consenso. Il populismo fa volutamente confusione tra rifugiati e immigrati e ha inventato il mito fasullo di una presunta invasione di maschi neri che marciano in modo inarrestabile verso l’Europa. Un competente studio sociologico di Maurizio Ambrosini fa chiarezza sulle migrazioni e smaschera l’uso strumentale che ne viene fatto.
Un pregio importante del libro è il tono pacato e l’approccio scientifico, ben distante dalle fumisterie ideologiche, e basato sui dati più recenti a disposizione per scandagliare la complessa galassia del fenomeno globale delle migrazioni. L’autore sostiene inoltre che la causa degli immigrati non viene certo aiutata da argomentazioni secondo le quali siano i misfatti del colonialismo a provocare le migrazioni, perché il fenomeno è molto più complesso e va analizzato in modo integrato. Finora, agitare lo spauracchio di orde fameliche di neri ed estremisti islamici che sbarcano incessantemente sulle nostre cose, senza che nessuno intervenga a fermarli, ha generato consenso politico ma l’enorme choc della pandemia di Covid-19 ha costretto la popolazione italiana a fare in conti con la realtà e imparare ad assegnare un grado di priorità ai problemi.
Le cifre vere, oltre la fuffa propagandistica
I dati, abbondanti e disponibili a tutti con grande facilità, mostrano che non c’è stata nessuna invasione e che da cinque anni a questa parte c’è una sostanziale stabilizzazione della popolazione immigrata, che supera di poco i cinque milioni di persone, il che equivale all’8,7% della popolazione residente. Le migrazioni verso l’Europa, che nel 2015 avevano raggiunto picchi notevoli, “non sono state fermate dagli accordi con la Libia o dalla mano dura sugli sbarchi del primo governo Conte, ma dalla crisi economica che ha inaridito gli sbocchi occupazionali a cui avevano avuto accesso gli immigrati nei venticinque anni precedenti”.
I dati forniti da Caritas e Migrantes, citati nel testo, forniscono un profilo preciso secondo cui “gli immigrati residenti in Italia sono prevalentemente donne (52%), prevalentemente europei (50,9%, in maggioranza cittadini dell’UE: 30,4% del totale), prevalentemente originari di paesi di tradizione culturale cristiana; qui la stima è più incerta, ma il dato più accurato parla di un 57,5% di cristiani, prevalentemente ortodossi, contro un 28,2% di musulmani”. Anche il numero di quegli immigrati che, nel corso degli anni, sono riusciti a maturare le complesse e penalizzanti condizioni previste dalla normativa per l’ottenimento della cittadinanza, è sceso dai 201.600 nel 2016 ai 112.500 del 2018.
Quello che ha inciso veramente su questa diminuzione è la lunga recessione, iniziata negli
USA nel 2008, e che è durata fino al 2015. Per questa stessa ragione, le nascite in Italia da cittadini stranieri sono passate dagli 80.000 nati nel 2012 ai 65.000 nel 2018, circa il 15% delle nascite complessive. Non possiamo quindi parlare di immigrati che invadono le sale parto e gli asili nido, ma non possiamo nemmeno confidare che saranno gli stranieri a invertire il declino demografico italiano.
Chi soffia sul fuoco della paura è molto facilitato dall’errata percezione che gli italiani hanno del fenomeno immigrazione. Elaborando i dati dell’Eurobarometro, l’Istituto Cattaneo di Bologna ha documentato come gli europei sovrastimino la percentuale degli immigrati nei loro Paesi, visto che di fronte ad una presenza reale del 7,2% gli intervistati ritengano che siano il 16,7%. Nel nostro Paese, il divario tra realtà e percezione si allarga a dismisura perché, di fronte a una presenza sul territorio del 7%, gli intervistati italiani sono convinti che gli immigrati non appartenenti all’Unione Europea raggiungano il 25%, quasi il quadruplo.
Ma non tutti gli immigrati fanno paura allo stesso modo, perché “quando arrivano da paesi più poveri, ma sono individualmente riscattati dall’eccellenza in qualche campo di attività, come lo sport, la musica, la ricerca scientifica, o anche soltanto dalle dimensioni del loro conto bancario, sfuggono egualmente alla scomoda etichetta di immigrati e alle conseguenze che comporta”. E a proposito di dimensione dei portafogli, in alcuni Paesi UE, come Cipro e Malta, non solo agli immigrati ricchi viene concesso l’ingresso e il soggiorno ma addirittura la cittadinanza se investono una cifra ingente e assumono personale locale. Ambrosini commenta amaramente che “mentre discutiamo di ius soli e ius sanguinis, è stato introdotto lo ius pecuniae: la facoltà di acquistare la cittadinanza grazie al denaro. Diversi magnati russi, per esempio, si sono avvalsi di questa facoltà, aggirando così le sanzioni anti-Putin”.
Quei cattivoni che ci rubano il lavoro
Il libro è molto ricco di cifre, su cui è bene insistere per contrastare la nebbia razzista con cui si cerca di velare i fatti reali. È un dato di fatto che nel Bel Paese ci sono milioni di stranieri che lavorano ma, se andiamo ad analizzare le posizioni che ricoprono, ci si rende subito conto che i posti occupati non sono certo stati soffiati a volenterosi lavoratori autoctoni. Quanti italiani hanno voglia di andare a spezzarsi la schiena a raccogliere pomodori, o a scaricare cassette alle quattro di mattina ai mercati generali o essere a disposizione per 24 ore al giorno per assistere un anziano, magari non autosufficiente?
Oggi, il 10,6% dell’occupazione complessiva riguarda stranieri, e ha come sbocco il lavoro manuale e i servizi scarsamente qualificati. Tre stranieri su quattro sono assunti con la qualifica di operaio (per gli italiani il dato è il 30%) e la loro incidenza è più alta della media dove il lavoro è faticoso, precario, dotato di scarso prestigio e riconoscimento sociale: 17,2% nelle costruzioni, 17,9% nell’agricoltura, come pure negli alberghi e ristoranti, toccando un clamoroso picco nei servizi domestici: 71%. L’incidenza sull’occupazione tocca il valore massimo nell’Italia centrale, con il 12,9%, seguita dal Nord-Ovest con il 12,1% e dal Nord-Est con l’11,6%, mentre Mezzogiorno e Isole si fermano al 5,9%.
“In altri termini, il lavoro degli immigrati è un sensibile indicatore del dinamismo dei sistemi socio-economici locali. Si concentra dove c’è più occupazione, più ricchezza, meno disoccupazione per gli italiani. Dove invece la situazione è più critica anche le occupazioni meno ambite tendono a essere raccolte dai lavoratori del posto”. Questi dati indicano che l’occupazione degli immigrati non solo è correlata a quella degli italiani, ma la favorisce. “Senza l’aiuto delle colf, per molte donne e famiglie italiane di classe media sarebbe molto più arduo conciliare lavoro extradomestico e carichi familiari, e probabilmente non poche donne italiane avrebbero dovuto lasciare il lavoro o ridurre gli orari”.
L’Italia dalla parte sbagliata della storia
Molti non ricordano più che sessant’anni fa gli emigrati italiani in Svizzera erano costretti a nascondere moglie e figli, che non avevano alcun diritto, e i bambini dovevano giocare da soli e in silenzio perché, se fossero stati scoperti, rischiavano l’espulsione. Oggi ci sono ministri della Repubblica che di fronte a disperati che scappano da fame e guerre parlano di “taxi del mare” e di “giovani palestrati” che ci piombano tra capo e collo per fare la bella vita e gozzovigliare a spese nostre. La politica del primo governo Conte ha fallito miseramente sulla questione dei rimpatri, ha smantellato le già inadeguate strutture che avrebbero dovuto occuparsi di accoglienza, ha complicato enormemente le procedure per i richiedenti asilo e ha tagliato drasticamente i fondi per la gestione degli immigrati.
Un’altra misura, minore ma indicativa di una politica che punta a rallentare non solo gli ingressi ma anche l’integrazione sociale degli immigrati, riguarda il raddoppio, da due a quattro anni, del tempo che lo Stato italiano si prende per valutare le domande di naturalizzazione degli stranieri residenti, con effetto per di più retroattivo, anche nei confronti di chi aveva già presentato la domanda. Per i cittadini non comunitari si tratta di quattordici anni di attesa, senza certezza sugli esiti. Probabilmente un record mondiale, per un paese con un ordinamento democratico avanzato.
L’offensiva contro l’inesistente “invasione” è arrivata a tali livelli da attirare l’attenzione dell’Alto commissariato dell’ONU per i diritti umani che ha espresso “preoccupazione” per la “continua campagna diffamatoria” condotta dal governo italiano contro le Organizzazioni non governative (ONG) impegnate nelle operazioni di soccorso dei migranti in mare. Amnesty International, a sua volta, ha accusato il governo Conte-Salvini-Di Maio di avere sistematicamente delegittimato e infangato le ONG attive nel salvataggio di vite umane in mare, nonostante le norme internazionali che vietano di sbarcare persone soccorse in luoghi non sicuri come la Libia. La politica di far lievitare il numero dei richiedenti asilo a cui viene risposto in modo negativo non farà altro che gettare per strada più di centomila persone, senza dimora e risorse. Spacciare tutto questo per contributo alla sicurezza e all’ordine denota soltanto un cinismo nichilista.
Giuseppe Conte, Primo ministro del governo che tante preoccupazioni ha sollevato a livello internazionale, riveste la stessa carica nel governo attuale e, finora, non ha intrapreso passi concreti per invertire la rotta della politica verso l’immigrazione. Ma un Paese che, da circa vent’anni, ha un drammatico problema di denatalità non può far finta di nulla di fronte a questa questione. La nebbia della demagogia e della propaganda è calata, i dati sul fenomeno sono abbondanti e precisi. A questo punto, serve che qualcuno decida, quanto prima.
di Galliano Maria Speri
Maurizio Ambrosini
L’invasione immaginaria
L’immigrazione oltre i luoghi comuni
Laterza, pp. 184, 14 Euro
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