Il 31 gennaio 2022 si è chiusa la mostra dedicata a Gian Maria Tosatti ospitata dalla Fondazione Pastificio Cerere di Roma. L’evento, curato da Saverio Verini e inaugurato il 16 dicembre dello scorso anno, proponeva un ritratto dell’artista attraverso una serie di 24 immagini della serie fotografica Casa di Gian Maria a Napoli, realizzate nel 2020 da Anton Giulio Onofri. In pratica, si tratta di un ritratto in absentia, basato non sulle immagini dell’artista ma su quelle della sua casa napoletana, in un momento in cui era assente dalla città. Anche queste righe sono in absentia, pubblicate dopo la chiusura della mostra, non per scelta ma per una complessa serie di concause.

Gian Maria Tosatti, artista visivo, critico, regista, direttore artistico della Quadriennale di Roma, ideatore del Padiglione Italia all’ultima Biennale di Venezia, è una figura a sé stante nel panorama internazionale. Con il suo lavoro si colloca nell’impervia intersezione tra le manifestazioni artistiche e le pulsioni e contraddizioni della società contemporanea. Egli rivendica la responsabilità e la necessità di essere testimone e, come ogni artista, intende “fare un ritratto crudele e veritiero della realtà”. Come ha giustamente osservato Gianluigi Colin sul Corriere della Sera, “Tosatti lavora al confine tra indagine sociale, denuncia politica e tensione spirituale, soffermandosi in particolare sulle connessioni tra architettura, natura e identità dei luoghi”.

Il settimo sigillo è un film del 1957 del regista svedese Ingmar Bergman. Il personaggio del cavaliere Antonius Block, che nell’immagine gioca a scacchi con la morte, dice la frase “il mio cuore è vuoto come uno specchio”, che ha ispirato il titolo di un importante progetto di Gian Maria Tosatti.

Nella sua concezione l’arte è profezia e rivelazione. Animato da questo spirito e con un’intuizione premonitrice, tre anni prima dell’invasione di Putin, compie un viaggio in Ucraina per capire lo stato reale della democrazia in Europa. Il titolo del progetto è Il mio cuore è vuoto come uno specchio. Se oggi riguardiamo l’opera che Tosatti aveva realizzato per la copertina della Lettura, l’inserto letterario del Corriere della Sera del 12 giugno 2022, proviamo un tuffo al cuore. Nell’immagine vediamo l’artista fotografato a Odessa nel 2019, all’interno di una grande struttura industriale abbandonata e cadente, con le possenti ciminiere che si protendono, ormai inutili, verso un cielo livido, simbolo di decadenza e rovina ma anche delle distruzioni che avrebbero presto colpito l’Ucraina. È la stessa sensibilità sociale che lo spinge a recarsi in quell’area di Calais, popolata dai disperati che tentavano di raggiungere il Regno Unito e talmente selvaggia da essere chiamata la Jungle. Qui Tosatti dipinge di oro una grande pietra che, dopo la brutale evacuazione operata dalla polizia francese, è l’unica cosa rimasta del sogno di trovare una vita migliore.

La mostra

Nell’autunno del 2020, in un’Italia ammutolita e paralizzata dalla pandemia, il fotografo Anton Giulio Onofri si reca a Napoli per due volte con l’intenzione di visitare Gian Maria Tosatti, a cui è legato da più di dodici anni in un fecondo sodalizio intellettuale. In entrambe le occasioni, l’artista non è in città, impegnato com’è nella realizzazione del suo progetto che lo portava in Ucraina senza preavviso alcuno. Onofri ha così approfittato dell’occasione per aggirarsi tra le stanze dell’appartamento, alla ricerca delle tracce dell’amico. Opere in lavorazione nello studio o appese alle pareti, una fitta libreria, apparecchiature obsolete, fiori e piante, attrezzi, le stoviglie in cucina, gli amati gatti: il suo obiettivo fotografico ha indagato ogni dettaglio per individuare le inquietudini di Tosatti nel cruciale passaggio dei suoi 40 anni, ma anche per restituire l’intensità magnetica delle sue opere sullo sfondo di una Napoli costantemente “nell’aria”.

Visto che il titolo della mostra è “Non mi troverai. Due appuntamenti mancati con Gian Maria Tosatti”, ci si aspetterebbe che il centro dell’esposizione sia l’assenza, la non presenza di chi è lontano e può soltanto essere evocato. In realtà non è così. Nel piccolo atrio, dipinto come tutto il resto di un bianco abbacinante, vediamo le foto dell’esterno della casa, il portone, come avverrebbe se ci recassimo lì di persona. Nella piccola stanza successiva, improvvisamente, c’è la sorpresa di trovare su una parete i testi di uno scambio epistolare tra i due amici e questo cambia totalmente la prospettiva. Tosatti e Onofri parlano di arte, di musica, di cinema, di filosofia, di società contemporanea in un linguaggio franco, ma anche diretto e ricercato, come fanno le persone colte. Onofri evoca il Così fan tutte di Mozart, ambientato proprio a Napoli (che Mozart conosceva benissimo) e Tosatti risponde da Odessa con le sue considerazioni sullo scarto tra l’intuizione e l’esecuzione, lo sforzo doloroso per comprendere il mondo nuovo che un artista quarantenne si trova davanti, una volta oltrepassata “l’invincibilità dei vent’anni. La tollerabilità dei trenta”.

L’ultimo ambiente dell’esposizione.

Nell’ambiente successivo, un corridoio lungo che termina con un impercettibile abbassamento riempito da quelli che, con un felice effetto cromatico, potrebbero essere petali rosa o vernice staccatasi dal muro, sulla sinistra si snodano eleganti le fotografie dell’interno della casa, mentre la parete opposta espone un’unica immagine. Ma oltre ad essere occupato dalle foto, lo spazio di questa stanza è interamente saturato dallo scambio epistolare tra i due amici che si riverbera dalla stanza precedente. Potremmo evocare un dialogo platonico sull’amicizia ma, si parva licet componere magnis, a me ricorda piuttosto gli indirizzi scherzosi e arguti che, all’inizio del Cinquecento, si scambiavano Thomas More ed Erasmo da Rotterdam. Purtroppo, l’ironia raffinata, la facezia elegante (una delle componenti essenziali nell’educazione di chi frequentava le corti rinascimentali), la battuta fulminante ma garbata sono ormai scomparse da tempo dal linguaggio di chi opera nel mondo dell’arte o della critica (e a questo hanno contribuito critici di grande fama).

 Le immagini

La stanza che contiene gli scambi epistolari di Tosatti e Onofri è il baricentro dell’esposizione ma, nella sua posizione centrale, si trova anche a esserne il cuore, il vero centro emozionale, di cui le immagini diventano un corollario. Nelle foto, eleganti, luminose e di dimensioni ridotte, vediamo la casa dell’artista quando l’artista non c’è: il suo tavolo da lavoro, le opere d’arte appese alle pareti, il gatto che si distende languido sul letto, le piante curate da una delicata mano femminile e anche gli scorci esterni, con una bella cupola barocca che domina i tetti.

Ci sono anche immagini più intime e personali, come un’opera in divenire che forse verrà completata o forse no e continuerà a parlarci in modo intermittente. Un’altra foto mostra una specie di spesso tavolo da lavoro su cui sono sparse quelle che sembrano pietre, mentre sulla sinistra, di scorcio, c’è il ritratto di un pontefice barbuto, effigiato di profilo e con una strana rassomiglianza con l’artista. La foto più personale non è però né la cucina, la stanza da bagno o la camera da letto, ma quella che ritrae la libreria, con la grande e inquieta massa dei libri che aspetta solo di essere sfogliata, studiata e meditata. È certamente vero che Gian Maria Tosatti non compare mai nelle foto; la sua casa è però riempita dal calore dell’amicizia che, nonostante la sua natura impalpabile, qui assume una sua corposa dimensione.

Non mi troverai.
Due appuntamenti mancati con Gian Maria Tosatti
Fondazione Pastificio Cerere
Via degli Ausoni 7
Roma
Dal 16 dicembre 2022 al 31 gennaio 2023

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