di Aldo Ferrara
Due milioni nel mondo, di cui 12 mila bambini, mentre in Italia sono oltre mille. Gli infortuni mortali sul lavoro nel nostro Paese, anche se hanno avuto una lieve diminuzione, sono pur sempre un numero consistente rispetto a 4,7 milioni di infortuni che annualmente accadono nell’Europa ma noi continuiamo a registrare 3 infortuni mortali ogni giorno lavorativo nel nostro Paese, e quelli mortali che avvengono nel nostro Paese sono il 20,52% di quelli europei: 641.638 quelli denunciati nel 2019 con 1089 decessi.
Nel mondo. L’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) ha diffuso i dati sulle “morti bianche”, rilevando che sui duecentocinquanta milioni di infortuni a lavoratori di ogni età che avvengono ogni anno, 335 mila sono mortali, 170 mila nel settore agricolo, 55 mila nel settore minerario e 55 mila nelle costruzioni. Inoltre, in tutto il mondo muoiono sul lavoro mille bambini al mese (dodicimila ogni anno).
In Italia. Gli infortuni mortali in Italia superano ogni anno le mille unità (quelli di lavoratori regolarizzati e denunciati all’INAIL); abbiamo, inoltre, oltre 24.000 malattie professionali all’anno. Il settore edile registra il più alto numero di infortuni mortali, oltre 350 all’anno ma anche nell’industria pesante come l’Ilva di Taranto, il più grande polo siderurgico d’Europa, si registrarono circa 4mila nel 2004, vale a dire una media di 10-11 infortuni al giorno.
Accanto alle morti bianche da traumi nell’edilizia, industria e agricoltura, le malattie professionali costituiscono le morti bianche lente e colpiscono soprattutto il sistema cardio-respiratorio. Nel mondo, 160 milioni ogni anno. Un problema sociale, ovviamente, ma anche un “peso” per l’economia: il costo annuo nel nostro paese è di 28 miliardi di euro, mentre a livello mondiale si arriva a 1.251 miliardi di dollari, una cifra 20 volte superiore all’ammontare mondiale ufficiale dei fondi stanziati per lo sviluppo.
La stessa fonte indica che i 335 mila morti salgono a due milioni se si considerano anche le vittime di malattie professionali, le c.d. “morti bianche ad orologeria”. In pratica ogni giorno muoiono 3300 lavoratori, al ritmo di un morto ogni 6 minuti.
Taranto. Secondo i dati del Sin (sito di interesse nazionale) per ricoveri e mortalità, nel periodo che va dal 2006 al 2013, “la mortalità generale e quella relativa ai grandi gruppi è, in entrambi i generi, in eccesso”. Nel dettaglio, “nella popolazione residente risulta in eccesso la mortalità per il tumore del polmone, per mesotelioma della pleura e per le malattie dell’apparato respiratorio, in particolare per le malattie respiratorie acute tra gli uomini e quelle croniche tra le donne”. In quanto all’ospedalizzazione, “in entrambi i generi si osservano eccessi per tutti i grandi gruppi di malattia, a eccezione delle malattie degli apparati respiratorio e urinario. I ricoveri per tumore del polmone e mesotelioma e per malattie respiratorie croniche, a priori associati alle esposizioni industriali del sito, sono in eccesso in entrambi i generi”. er quanto riguarda i bambini, in “età pediatrica si osserva un numero di casi di tumori del sistema linfoemopoietico totale in eccesso rispetto all’atteso, al quale contribuisce sostanzialmente un eccesso del 90% nel rischio di linfomi, in particolare linfomi non Hodgkin”. Per la fascia di età giovanile (20-29 anni) si evidenzia invece “un eccesso del 70% per l’incidenza dei tumori della tiroide, percentuale alla quale contribuisce soprattutto il genere femminile”.
Sui Siti di Interesse Nazionale da bonificare, l’Ispra ha enumerato 12.482 aree potenzialmente contaminate, distribuite su tutto il territorio, con un record di 3.733 casi in Lombardia. Mentre per il Ministero Salute sono 58 i siti in cui l’inquinamento è stato considerato talmente grave da comportare un elevato rischio sanitario.
Il messaggio da far filtrare è dunque il seguente: se fino a qualche anno addietro, le patologie colpivano i singoli addetti, oggi la morbosità da ambiente inquinato colpisce intere comunità. Dalla Medicina del Lavoro e prevenzione dei lavoratori si sta transitando verso la Medicina di Comunità.
Le morti per mesotelioma pleurico, una malattia con un periodo di latenza che va da 20 ai 30 anni. In Italia si contano circa 600 casi di patologie amianto-correlato che includono la forma clinica più grave, il mesotelioma pleurico, patologie delle sierose (pericardio e peritoneo), forme neoplastiche del Tratto Respiratorio Integrato e del Sistema digestivo. Non basta più il divieto di utilizzo di materiali nocivi, amianto e sostanze chimiche. Sono emersi due elementi nuovi il radon che inquina le costruzioni dei paesi europei e la necessità di istituire un fondo di risarcimento per le vittime, perché serve prevenire, ma anche risarcire.
Dal Rapporto OIL 2013 (1). Nonostante la messa al bando dell’amianto in oltre 50 paesi, tra i quali tutti gli Stati membri dell’UE, ogni anno si producono ancora 2 milioni di tonnellate di questo materiale. Oggi lo si utilizza principalmente nei paesi in via di sviluppo, in cui la capacità di prevenzione, i controlli sanitari e i meccanismi di risarcimento sono inadeguati e le patologie legate all’amianto sono poco conosciute e raramente dichiarate. Per dare un’idea dell’entità del problema, le stime relative a sei paesi dell’Europa occidentale (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito) prevedono un numero complessivo di decessi per mesotelioma pari a 200.000 tra il 1995 e il 2021 . Estrapolando queste cifre a tutti i paesi dell’Europa occidentale e sommando i decessi previsti per neoplasia polmonare da esposizione ad amianto, si calcola che entro il 2029 saranno circa 500.000 i decessi provocati dall’amianto.”
Per quanto attiene alcune categorie fortemente usurate come vigili urbani e autoferrotranviari, dati i numeri epidemiologici ad essi va applicato il concetto di “morte bianca ad orologeria”.
Dal 1995 al 2005 sono morti in Italia circa 600 vigili urbani per cancro polmonare pari a circa 1,1 vigile alla settimana, ma se si considerano i dati relativi alla insufficienza respiratoria la mortalità ascende a 2/ alla settimana , pari a circa 1050-1100 in dieci anni. Considerato che la popolazione dei Vigili è pari a circa 50.000 unità vi è una falcidie pari all’1%° per Cancro polmonare.
Nella categoria degli autoferrotranvieri l’aspettativa di vita è di circa – 7,3 anni rispetto ad altre categorie; il rischio cardiovascolare è del + 18%, quello per ipertensione arteriosa del + 35%.
Tarda a farsi strada una revisione delle Tabelle dei Lavori Usuranti che risale al 2000. L’lenco dettagliato prevede lavori ormai desueti o in via di eliminazione, per intervento delle nuove tecnologie:
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lavori in galleria, cava o miniera: in questa categoria sono incluse anche le mansioni eseguite dagli addetti al fronte di avanzamento prevalentemente e continuativamente in ambienti sotterranei; si tratta dunque prevalentemente di cave e miniere, ma anche di ambienti diversi, seppure dotati di caratteristiche fisiche analoghe e della medesima difficoltà di movimento e di accesso;
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lavori ad alte temperature;
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lavori in cassoni ad aria compressa;
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lavori svolti dai palombari;
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lavorazione del vetro cavo;
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lavori di asportazione dell’amianto;
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lavori eseguiti prevalentemente e continuativamente in spazi ristretti: in questo caso si tratta, andando più nel dettaglio, di attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, e, per spazi ristretti, ci si riferisce a strutture come intercapedini, doppi fondi, pozzetti, blocchi e affini;
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lavori a catena o in serie: sono inclusi anche i casi di chi deve seguire un certo ritmo produttivo, o quelle attività la cui prestazione è valutata in funzione delle misurazioni dei tempi di lavorazione;
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conducenti di veicoli destinati a servizio pubblico di trasporto collettivo, con una capienza superiore a nove posti.
Si tratta dunque di lavori che vengono espletati in particolari situazioni, anche rischiose, che richiedono un impegno psico-fisico maggiore a livello sia di quantità di tempo che a livello di intensità.
Il loro svolgimento, infatti, prevede attività in cava o miniera, dunque l’utilizzo di materiali in pietra, ad esempio. Per questa tipologia di lavori è senz’altro di primaria importanza la prevenzione, al fine di ridurre al minimo i rischi e pericoli sul luogo di lavoro.
Metalli pesanti.
Nessun riferimento né in queste tabelle né in altri documenti attesta la nocività dell’esposizione ai metalli pesanti. Questi fanno parte di numerosi composti con cui la popolazione estesa viene in contatto o che sono presenti quali rischio professionale.
Oltre a mercurio, arsenico zinco diluiti o scaricati nelle acque fluviali (2) annoveriamo una lunga serie di metalli adottati nella componentistica delle vetture di serie quali: Platino (filtri post combustori) Tungsteno (freni, trasmissione); Molibdeno (impianto frenante); Cadmio (batterie, impianto frenante); Zinco (parti carrozza, componentistica); Alluminio (parti carrozza, componentistica); Carburo (pneumatici).
Le forme cliniche di cui sono responsabili (patologie del S.N.C., gastro-enteriche ivi comprese le epatiche, urogenitali ed autoimmuni) sono ancora di incerta collocazione nosografica ma il ruolo patogenetico sembra certo e localizzato al blocco enzimatico che i cationi metallici esercitano sui gruppi sulfidrilici–SH con una rimodulazione delle attività enzimatiche.
La maggiore o minore tossicità dipende dall’epoca di insorgenza delle forme cliniche e dalla concentrazione dei metalli che l’organismo assume o assorbe (per ingestione, inalazione o direttamente, come il nickel fonte di gravi dermatiti da contatto). La ricerca scientifica sull’argomento è ancora agli esordi ma già sulle patologie da metalli pesanti (Heavy Metal Diseases) arrivano conferme epidemiologiche dal Report 2007 del WHO Europa.(3)
Uranio Impoverito
Su quest’argomento la questione diviene “minata”, visto che il suo impiego è limitato ad uso bellico. L’Uranio impoverito (UD) si ricava dalla lavorazione di uranio 235, adibito a centrali nucleari o bombe atomiche. Il suo contenuto di U235 è ridotto fino allo 0,2%. Da quando la fissione nucleare è controllata nei laboratori, dai tempi della pila atomica di Chicago, secondo il modello sperimentale di Enrico Fermi, le scorie radioattive hanno sempre creato un problema di dismissione. La Difesa USA ha escogitato il modello di riciclaggio dell’U235 adottandolo come metallo pesante per proiettili, dato che essendo materiale ad alta densità appare una perfetta arma di penetrazione su altri metalli anche pesanti e serve dunque alla fabbricazione di proiettili e schermature. Infiammabile al contatto profondo, rilascia micro e nanoparticelle aerosolizzate nocive per il Tratto Respiratorio Integrato e per quello linfatico ad esso tributario. Responsabile dunque di Linfomi, LLA, LLC, e patologie neoplastiche a genesi epiteliale. La Sindrome del Golfo, diagnosticata su circa 90 mila soldati americani, rientrerebbe nelle patologie da UI ed è classificabile come malattia da metalli pesanti. Il coinvolgimento diretto si avvale di una malattia respiratoria ad andamento cronico, con interessamento cardio-circolatorio, cui concomita patologia disfunzionale epatica, e risentimento neurologico.
Sembrerebbe una problematica che possa riguardare solo gli addetti ai lavori militari, e già sarebbe un successo che venisse riconosciuto un altro rischio per essi. Ma in vero poiché durante il suo uso è liberato nell’aria sotto forma di aerosol disperso, la problematica riguarda le comunità che vengono a contatto con detti aerosoli il cui tracciato aereo non è sempre riconoscibile, a causa della rosa dei venti. Dunque vi sono comunque aree, come la Sardegna che meritano di essere bonificate affinchè non diventino l’Iraq italiano.
L’opinione pubblica è poco informata sull’argomento cui sono state dedicate ben tre Commissioni Bicamerali del Parlamento, l’ultima delle quali, la più precisa e puntuale nelle sue conclusioni, era presieduta dall’On. GianPiero Scanu, ottimo conoscitore del territorio sardo ed esperto di questioni di difesa nazionale.
Le Forze Disarmanti
Ricordava Giovanni Sartori, grande studioso della Politica, che, in virtù dell’amicizia che lo legava a Giovanni Spadolini, Ministro della Difesa nel Governo Craxi, all’epoca di Sigonella per intenderci, gli telefonava chiedendo del Ministro delle Forze “Disarmate” con la consueta ironia che lo contraddistingueva.
Ahimè, oggi appaiono come le Forze Disarmanti. Sono passati 40 anni da Ustica, ormai nota come isola nella cui prossimità cadde il volo Itavia IH 870, il 27 giugno 1980, coinvolto in uno scontro a fuoco tra aerei libici, americani, francesi. Malgrado l’inchiesta sia durata decenni, non si è ancora data risposta ai familiari delle vittime e la verità è rimasta soffocata a lungo, coperta da misteri, bugie, contraddizioni che hanno dato prova di assoluta omertà dei vertici politici e militari. Oggi appare accreditata l’ipotesi di una collisione in volo con un aereo USA di cui sono stati trovati detriti e rottomi in fondo al mare. Con la complicazione di un aereo libico precipitato nella Sila etichettato come incidente avvenuto 20 gg dopo il giorno dell’incidente. Quarant’anni di mistero su Ustica sono troppi per un paese civile.
La questione dell’uranio impoverito è molto più seria, una bomba innescata e deflagrante, non confinata ad un singolo episodio. Malgrado quattro Commissioni Bicamerali d’inchiesta, dalla XIV alla XVII legislatura, la verità sui militari deceduti a causa di quel metallo stenta ad emergere. Ma non ci sono soltanto 392 giovani deceduti per neoplasie ascrivibili all’uranio e oltre 7900 malati. Ci sono siti della Sardegna inquinati, con gravi ripercussioni sulla salute di molte comunità e la possibilità che molti altri decessi avvengano tra i civili.
Percentuali altissime se si considera un impiego complessivo meno di 100.000 uomini e donne. Ancora oscuro il numero dei civili coinvolti, oltre alle popolazioni a ridosso dei poligoni internazionali sardi,quelli dei territori balcanici dell’area serba al settore Bosniaco/Kosovaro.
A differenza delle precedenti Commissioni, dalle cui risultanze non emerge un nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio e i decessi, la Commissione della XVII Legislatura, presieduta dall’on. GianPiero Scanu fa finalmente chiarezza. I numerosi dati ed elementi addotti dalla Commisione inducono a ritenere che “…alla luce degli elementi raccolti, la Commissione conferma che vi sia una associazione statisticamente significativa tra patologie neoplastiche e linfo-proliferative, e altre patologie (es. quelle autoimmuni), e la somministrazione dei vaccini secondo la profilassi vaccinale militare. La Commissione ritiene di non poter escludere il nesso di causa. La Commissione auspica che vengano censite anche altre patologie di tipo psico/fisico (stress lavoro/correlato stress da combattimento) e che quelle insorte fino ad oggi nel corpo militare delle Forze armate vengano rese disponibili per un’analisi. Suggerisce di dare seguito alla attività di ricerca iniziata coinvolgendo IGESAN e tutte le sue diramazioni territoriali, come ad esempio le CMMO (commissioni militari medico ospedaliere) per un vaglio e una valutazione di tutte le patologie (morbilità) insorte a vario titolo negli appartenenti alle Forze armate.” (4-5)
Malgrado quella Relazione sia stata fatta “brillare” senza l’esplosione mediatica, ahimè soffocata, comincia a farsi strada anche nell’ambito di alcuni esponenti delle Forze Armate la precisa volontà di chiarezza. È in questo contesto che troviamo in Libreria il recente volume del Col. Fabio Filomeni dal titolo significativo “Baghdad, ribellione di un generale” con prefazione del su citato On. Scanu, volume dedicato ai risvolti interni sulla questione nel nostro contingente di stanza in Iraq. Come scrive l’On. Scanu, “…il libro ci sottopone uno scenario desolante, opaco e sinistro…”. E come scrive l’Autore nella sua premessa “… l’Istituzione militare dimostra scarsa trasparenza per quanto attiene ad una precisa individuazione delle funzioni e delle responsabilità…”.
Il volume troverà lettori nell’ambito dei familiari dei deceduti e dei pazienti che ancora soffrono per la congerie insalubre delle esposizioni a rischio e invece dovrebbe essere letto anche da chi ha a cuore l’integrità delle nostre Forze di Difesa. È la storia sofferta del Gen. Roberto Vannacci, comandante del nostro contingente in Iraq che al rientro dalla missione, si è recato alla Procura della Repubblica per presentare un esposto contro i propri vertici militari. Una storia nella quale si intrecciano il travaglio di un Generale di carriera che espone sé stesso per difendere i suoi soldati, il dolore dei familiari delle vittime che non hanno giustizia, …” le tenebre di una vicenda cha da più di vent’anni vede contrapposti da una parte i soldati periti o gravemente ammalati per l’esposizione all’UI, e dall’altra quegli stessi vertici militari che hanno concepito, pianificato, autorizzato e condotto le operazioni alle quali detti soldati hanno partecipato…”.
Chi gode di una certa età ricorderà che il nostro paese ha subito, dal 12 dicembre 1969, la strategia della tensione, che ha portato infiniti lutti a comunità inermi, dalla Banca dell’Agricoltura, alle bombe sull’Italicus del 1974, alla strage di piazza della Loggia a Brescia, 1975, a piazza della Stazione di Bologna il 2 giugno 1980, assassini di massa per motivazioni pseudo-politiche. Per converso, come dobbiamo definire l’incuria dello Stato sulle “morti bianche” prima descritte e la pervicacia con cui si nega e si perpetua la morte annunciata da Uranio Impoverito?
Note:
1 Rapporto OIL 2013 La prevenzione delle malattie professionali
2 A. Ferrara Il Killer argentato, Frontiere.eu, 19 gennaio 2019
3 WHO Europe Health risks of heavy metals from long-range transboundary air pollution, 2007
4 Relazione Finale della Commissione Bicamerale d’Inchiesta sull’Uranio Impoverito. XVII Legislatura. http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/023/INTERO.pdf
5 P. Costanzo, A. Ferrara Salute e Ambiente, diritti feriti. SEU ed. Roma , 2020
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