di David Palterer
L’architetto Zvi Hecher (31 maggio 1931 – 24 settembre 2023) è mancato all’età di novantadue anni a Berlino, dove aveva scelto di vivere da quando vi aveva realizzato la scuola dall’impianto ispirato alla geometria del fiore del girasole.
Nato a Cracovia, a causa della Seconda guerra mondiale passa la sua infanzia con la famiglia da rifugiato in USSR, prima nel gelo della Siberia, dove un folto gruppo di ebrei scampati all’orrore nazista si era ritrovato prigioniero, poi, una volta rilasciato, a Samarcanda, in Uzbekistan, dove vive fino alla liberazione della Polonia.
Come lui stesso racconta, uno dei suoi insegnanti, anche lui tra quei nomadi per costrizione, è stato l’architetto Itzhak Palterer che, portandolo con sé a disegnare le meravigliose architetture musulmane del luogo, gli rivela le sue inclinazioni iniziandolo, inconsapevolmente, a quel “mestiere” per cui, diversi anni dopo, prenderà la laurea al Technion di Haifa con Alfred Neuman, un altro architetto immigrato in Israele a seguito della grande guerra.
Hecker realizza i suoi primi lavori proprio con il suo maestro, spesso suscitando polemiche per la loro audace concezione formale ispirata a elementi geometrici puri.
Di quel periodo progetti di rilievo sono la sede del comune della città di Bat Yam, al confine sud di Jaffa, e la sinagoga dalla forma di cristallo nel deserto del Negev. A Ramat Gan realizza due condomini: Beit Dubiner dove abitava, fondato sull’impianto aggregativo spaziale di esagoni che ha ispirato Moshe Safdie nel suo Habitat canadese, e la “casa spirale”, studiando le regole geometriche ordinatrici dei semi del fiore di girasole. L’esperienza di questa costruzione, caratterizzata dall’uso di materiali poveri e tecnologie costruttive elementari che tendono lo sguardo all’arte povera, sfocerà anni dopo nel suo progetto della scuola di Berlino.
La progettazione architettonica di Hecker è costantemente accompagnata da un’ossessiva produzione di disegni di grandi dimensioni, alla ricerca della potenzialità della forma e dello spazio, ricerca che diventa oggetto di numerose mostre in musei e gallerie d’arte. Tra queste, memorabile è quella del 1981 a Firenze, nello spazio di Vera Biondi, cha ha come tema Gerusalemme e l’architettura per la Pace.
Ancora in Italia, Bruno Zevi gli dedica un libro e nei suoi articoli, ad esempio per le riviste Zodiaco e Domus, gli rivolge sovente una particolare attenzione.
Nel 1991 rappresenta Israele alla Biennale di Venezia, nel 1996 espone nuovamente alla 6ª Biennale nell’ambito della “Architettura come Sismografo”, così alla 7ª Biennale di architettura nel 2000 e alla 9ª nel 2004.
Tiene inoltre numerose conferenze, tra le quali una lectio magistralis al Politecnico di Milano, e in ogni occasione considera importante ribadire il suo pensiero sul ruolo primario dell’architettura, ovvero modellare intorno alle persone uno spazio protettivo, un luogo psicologicamente rassicurante che però non va scisso dalla necessità di essere funzionale.
“L’architettura – diceva – non è solo da vedere ma deve essere vissuta!”
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