di Galliano Maria Speri

Il 31 maggio 2017 si è svolto a Roma il convegno “La strategia di influenza russa in Europa: Mosca e i movimenti populisti europei di destra e di sinistra”, organizzata congiuntamente dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e dall’Atlantic Council di Washington. I lavori sono stati introdotti da Luigi Sergio Germani, denunciando la strategia di “soft power” perseguita da Mosca fondata sulla propaganda e la controinformazione. Secondo Germani, il Cremlino sta postulando uno “scontro di civiltà” tra il blocco eurasiatico e la civiltà liberale atlantica, accusata di voler indebolire la Russia, sfruttarne le materie prime e, in ultima analisi, di puntare alla sua disgregazione.

Tutti i commentatori di questioni internazionali sono d’accordo sulla complessità e sulla drammaticità del periodo storico cui l’Europa si trova di fronte. Una risposta facile sembra venire dai populismi, di vario segno, che propongono una chiusura drastica delle frontiere contro migranti e terrorismo e misure protezionistiche e nazionalistiche per affrontare la crisi economica. Le recenti elezioni in Austria e Olanda e, soprattutto, la vittoria stupefacente del centrista Macron in Francia, che ha basato la sua campagna su temi esplicitamente filoeuropei, mostrano che l’ondata populista che ha portato alla Brexit e alla vittoria di Trump negli USA sta subendo una battuta d’arresto. È inoltre indubitabile che nella magmatica situazione attuale, con un’Amministrazione americana che sembra concentrata sulle questioni interne, nuove forze cerchino di penetrare nel vuoto politico che è sembrato crearsi nel nostro continente.

Comunque la si voglia giudicare, il Presidente russo Putin ha sicuramente una strategia che sta perseguendo con grande determinazione per riportare la Russia a giocare il ruolo di grande potenza che aveva fino al 1992. Non c’è dubbio che la Russia sia riuscita a ritagliarsi un ruolo importante in Medio Oriente, mentre il futuro dei suoi rapporti con l’Europa è attualmente oscurato dalle sanzioni decise dopo l’annessione unilaterale della Crimea e dal sostanziale stallo del processo di pacificazione in Ucraina. Per quanto riguarda l’Europa, il Cremlino ha messo a punto un approccio che va molto oltre la tradizionale collaborazione nel campo energetico, usando un’aggressiva campagna di stampa e, soprattutto, sostenendo quelle forze populiste che con la loro politica antieuropea e antiamericana sembrano essere perfettamente funzionali al disegno strategico russo.

Nel convegno Luigi Sergio Germani ha voluto indagare sulle modalità in cui Mosca ora sta inserendosi nelle pieghe delle difficoltà in cui versa il mondo occidentale. “Secondo alcuni specialisti – ha sostenuto Germani – Mosca si sente legittimata a usare contro l’Occidente gli stessi strumenti che furono usati dagli USA in Ucraina”. Germani non si è però nascosto che, dopo le denunce delle intromissioni russe nei processi elettorali e decisionali (vedi la discussione in USA sulla misura in cui l’ingerenza russa avrebbe fatto il gioco di Trump avverso la Clinton nella campagna elettorale del 2016), la questione fondamentale rimane quella di come arrivare al dialogo con Mosca.

Da sinistra: Vineta Mekone (Senior expert, Operational Support Branch, NATO Strategic communications Centre of eccellente, Riga), Fabrizio Cicchitto (Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati), Alina Polyakov (Direttore di Ricerca per l’Europa e l’Eurasia, Atlantic Council, Washington DC), Jacobo Jacoboni (giornalista de La Stampa), Anton Shekhovtsov (Institute of Human Sciences, Vienna), Francois Géré (Presidente Institut Francais d’Analyse Strategique, Parigi), Gustav Gressel (Senior Policy Fellow, European Council for Foreign Relations, Berlino). (Foto Galliano Speri)

Federigo Argentieri, della John Cabot University di Roma, ha ricordato che l’Italia può svolgere un ruolo importante nei rapporti con la Russia perché ha da sempre una politica russofila, con la breve eccezione degli anni della Seconda guerra mondiale e del periodo più caldo della guerra fredda. “Il vero problema – ha affermato Argentieri – è che mentre abbiamo dei grandissimi specialisti di letteratura russa, stimati in tutto il mondo, non abbiamo storici dello stesso livello, per cui la nostra lettura delle questioni che riguardano quel Paese è molto carente”.

Ha poi preso la parola Alina Polyakova, Direttore di ricerca per l’Europa e l’Eurasia dell’Atlantic Institute, che non si è detta d’accordo sul termine “soft power” utilizzato per definire la politica di Putin. Secondo la specialista, il termine è troppo sfumato e andrebbe sostituito piuttosto con “political warfare”. La Polyakova ha sottolineato la grande abilità del Cremlino di sfruttare i vuoti di potere notando come, nella situazione di incertezza attuale, la Russia punti ad avere relazioni bilaterali con i vari Paesi europei piuttosto che con l’Unione Europea (posizione ironicamente simmetrica all’atteggiamento di Trump).

Uno degli argomenti più interessanti per le implicazioni politiche che ci riguardano è stato affrontato da Jacopo Jacoboni, giornalista della Stampa, che ha parlato delle relazioni della Russia con i populismi italiani. Il caso citato da Jacoboni è estremamente interessante perché coinvolge il movimento Cinque Stelle, accreditato come secondo partito italiano e al governo in due grandi città come Roma e Torino. Nel luglio del 2014 venne abbattuto un aereo di linea malese che sorvolava le zone dell’Ucraina controllate dai ribelli filorussi e l’incidente costò la vita a 298 persone. Jacoboni ha ricordato che, riferendosi a quel tragico evento, il 29 luglio 2014, il blog di Grillo, la fonte più autorevole del movimento, ha scritto che “un pilota ucraino confessa di aver sparato all’aereo malese”. Grillo cita come fonte un sito di estrema destra tedesco, secondo il quale erano stati gli ucraini ad abbattere l’areo. Il problema serio è che la notizia era completamente falsa, poiché nessun pilota ucraino aveva mai fatto quella confessione e, soprattutto, coincideva in toto con le svariate informazioni false diffuse dall’intelligence russa. Non si tratta però di un incidente isolato. Il giornalista della Stampa ha sottolineato che mentre qualche anno fa Grillo prendeva apertamente le parti di Anna Politovskaya, oggi egli definisce Putin “homme d’etat fort” e usa il termine “crisi” per riferirsi alla guerra civile in Ucraina, in modo così parziale che l’ambasciatore ucraino in Italia ha spedito una lettera di protesta a Casaleggio. Non dobbiamo poi dimenticare come la Lega Nord abbia firmato un accordo col partito di Putin e che, secondo un funzionario dello stesso partito, “noi siamo pronti a firmare un accordo simile anche con i Cinque Stelle”. Né Grillo né altri hanno mai smentito questa notizia.

Anton Shekhovtsov, dell’Institute of Human Sciences di Vienna, ha affrontato il tema del sostegno russo ai populismi di destra in Europa, mentre François Geré, presidente dell’Institut Français d’Analyse Strategique di Parigi, ha illustrato la situazione specifica della Francia, in cui diversi candidati alla Presidenza non avevano mai nascosto le proprie simpatie per il Cremlino. Il caso più noto è quello di Marine Le Pen, che ha ricevuto un prestito di 9 milioni di euro dalla First Czech Russian Bank, che non avrebbe concesso una cifra di tale rilevanza se non avesse avuto avalli politici di alto livello. Geré ha riferito che durante il recente incontro con Putin, il Presidente francese Macron ha usato parole molto dure verso emittenti russe come Sputnik e RT (che una volta si chiamava Russia Today) totalmente appiattite sulle posizioni governative. Secondo Geré, Putin non ha risposto nulla a Macron che accusava quelle testate di diffondere “controverità”.

Durante il dibattito seguito alle presentazioni nel corso dell’incontro di Roma, chi scrive ha posto la questione della sostenibilità economica di una politica di potenza come quella di Putin. Se è vero che la Russia è tornata prepotentemente a giocare un ruolo internazionale, non è chiaro come una tale politica possa essere sostenuta a livello finanziario sul lungo termine, soprattutto per un’economia come quella russa che ricava gran parte delle proprie entrate dall’esportazione di gas e petrolio. La domanda non ha ricevuto risposte adeguate.

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