L’annuncio di Donald Trump che ritirerà le forze armate americane dalla Siria non è stato digerito dal generale  Jim Mattis, il segretario della Difesa. Mattis aveva sconsigliato il ritiro e si è dimesso spiegando le sue ragioni in una lettera rilasciata poco dopo l’annuncio di Trump.

All’inizio il 45esimo presidente ha lodato  Mattis in un tweet,  citando i contributi fatti dal generale per la sicurezza americana. Pochi giorni dopo, Trump ha sentito attraverso la Fox News il contenuto della lettera di dimissioni che lui non aveva letto. L’inquilino della Casa Bianca ha criticato Mattis in un altro tweet, ricostruendo la storia del generale, ricordando che Barack Obama lo aveva licenziato ma lui gli aveva dato una seconda chance. Si ricorda anche che in una recente intervista Trump aveva caratterizzato Mattis come un “democratico”, termine poco lusinghiero per il presidente.

Mattis nella sua lettera aveva spiegato, molto diplomaticamente, che il presidente ha bisogno di un segretario della Difesa la cui visione di politica estera combaci con quella di Trump. Il generale ha anche citato l’importanza di mantenere  rapporti cordiali con i Paesi alleati i cui contributi sono indispensabili per fare fronte alla politica espansiva della Russia,  Cina e altri Paesi gestiti da regimi autoritari.

Le stoccate indirette ma cortesi di Mattis sono chiarissime. Il generale criticava i comportamenti poco diplomatici di Trump con gli alleati e indirettamente quelli molto “amichevoli” con i nemici degli Usa. Trump non ha gradito e invece di accettare le dimissioni per la fine di febbraio offerte da Mattis, per dare tempo di rimpiazzarlo, ha anticipato al primo gennaio 2019 la fine del compito di Mattis. Per sostituirlo, ha nominato temporaneamente Patrick Shanahan, vice di Mattis, il quale però ha poca esperienza in campo militare e diplomatico.

Poco importa. Assumere collaboratori stretti temporanei sta divenendo tipico per il 45esimo presidente in parte perché non ci sono molti professionisti in giro che vogliono lavorare per un capo che governa di istinto, ignorando i suggerimenti dei suoi consiglieri. Spesso infatti vengono smentiti da un giorno all’altro. È successo recentemente al suo consigliere di sicurezza nazionale, il falco John Bolton, il quale tre mesi fa aveva annunciato che per  sconfiggere l’Isis e contenere l’Iran bisognava ampliare gli obiettivi militari americani in Siria.

Trump lavora bene nell’incertezza e preferisce collaboratori le cui qualità principali vertono sulla sudditanza ai suoi principi che sono difficili da capire. Membri temporanei del gabinetto di governo sono dunque preferibili. Al momento, oltre alla Difesa, Trump lavora con un capo di gabinetto temporaneo, Mick Mulvaney, che ha accettato l’incarico a malavoglia e Matt Whitaker,  segretario di Giustizia temporaneo.  Whitaker è considerato impreparato ma si crede  che Trump lo abbia nominato come possibile argine alle indagini di Robert Mueller, il procuratore speciale che indaga le interferenze russe sull’elezione del 2016.

Il turnover dei collaboratori si addice allo stile governativo spesso improvvisato di Trump. Infatti, in questo rispetto è il campione. Uno studio della Brookings Institution che analizza i cambi di personale di parecchi presidenti ci informa che fra i collaboratori principali, “the A Team”, (la squadra titolare), Trump ne ha cambiati 42 su 65, ossia il 65 percento (Obama 24 percento, George W. Bush, 33%). Diciassette di  questi collaboratori sono stati promossi, 14 sono stati costretti a dimettersi, 11 si sono dimessi di propria volontà.

Il clima creato da Trump nella sua amministrazione non incoraggia specialisti ad accettare posti che si liberano. In parte si deve alla personalità del capo che governa in modo poco strutturato ma anche per le indagini del Russiagate. Lavorare vicino a Trump spesso richiede la necessità di assumersi un avvocato, considerando la possibilità che la vicinanza di Trump li renderà testimoni di irregolarità o azioni potenzialmente illegali, attirando l’attenzione di Mueller.

La partenza di Mattis si aggiunge a quella di molti altri “adulti”, individui di spessore, rappresentanti dell’establishment, con esperienza nelle strutture e metodologie del governo a livello nazionale ma anche internazionale. Si ricordano facilmente altre figure di notevole spessore (Jeff Sessions, giustizia), (Rex Tillerson, affari esteri), (H.R. McMaster, sicurezza nazionale) che per una ragione o un’altra hanno già lasciato la barca di Trump. Il 45esimo presidente sembra soddisfatto, preoccupandosi più della possibile fedeltà  invece delle competenze dei collaboratori.

Da candidato, Trump aveva detto che in politica estera lui consulta se stesso perché possiede “un buon cervello”. Il successo di Trump a conquistare la Casa Bianca quando nessuno se lo aspettava lo potrebbe rassicurare della sua intelligenza.  In realtà una persona veramente intelligente ammetterebbe di non sapere tutto e considererebbe seriamente i pareri dei suoi consiglieri. Trump agisce dunque sempre più da leader autoritario con una sommaria conoscenza del sistema basato sui suoi istinti. Avendo notato il calo della borsa (9 percento per il 2018) Trump ha indagato se può licenziare Jerome Powell, chairman della Federal Reserve, considerandolo responsabile per l’aumento dei tassi di interessi. Non lo può fare. I contrappesi ai poteri del presidente continuano a tenere ma il 45esimo presidente non riesce a comprenderlo. Il fatto che lui voglia circondarsi da adulatori invece di specialisti che gli offrano i loro consigli potrà soddisfare il suo ego ma non giova né al Paese né al resto del mondo.

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