di L. Servadio
Una nuova flotta di rompighiaccio atomici: la notizia giunge dal gionale spagnolo ABC del 12 maggio, e la flotta è stata varata dalla Russia. Paul Wassmann, della norvegese Università dell’Artico, riferisce che “Alcuni anni fa nel mare Artico navigavano solo poche navi; l’anno scorso ne sono passate un centinaio e nel 2014 saranno tra le 400 e le 500”.
Qui non è questione di avvenutre nel gelo, ma del semplice congiungersi di eventi. Il “riscaldamento globale” riduce lo spessore della lastra di ghiaggio che impedisce il passaggio della navi a nord della Siberia o del Canada nei mesi freddi: con i nuovi rompighiaccio la Russia evidentemente mira a tenere libero il passaggio a nordest per un periodo prolungato dell’anno, a vantaggio delle navi che dalla Cina, dalla Corea, dal Giappone e ovviamente dalla Siberia possono raggiungere i porti europei.
Lo stesso accade, ovviamente col pasaggio a nordovest, sopra il Canada e l’Alaska.
Nei porti europei del nord, da tempo si stanno preparando: prevedono che l’arrivo di navi dal Lontano Oriente aumenterà a conseguenza dell’apertura di questo passaggio artico,per molti mesi all’anno, forse anche tutto l’anno. Rotterdam e Amburgo stanno aumentando le loro capacità di attracco e di gestione della merci.
Ma non è solo questione di rotte. Ci sono anche le materie prime. La zona russa dell’Artico è ricchissima di gas e petrolio: lo stesso vale per le zone islandese, groenlandese, canadese e statunitense (l’Alaska), ma il “peso demografico” della Russia nella regione artica è assolutamente predominante: circa due milioni di persone a fronte dei meno di 600 mila tra Usa e Canada e di poche decine di migliaia tra Islanda, Finlandia, Groenalndia… Lo stesso vale per la lunghezza della frontierea con la calotta di ghiaccio.
Come riferisce ABC: poche settimane fa la Russia trasportava il primo carico di petrolio estratto a nord del 66mo parallelo, che segna il lembo del Circolo Polare Artico.
Nel complesso è partita, da tempo, la competizione per la “conquista” del continente inesistente: lo spazio gelato del Polo Nord. Già il 2 agosto del 2007 il batiscafo russo Mir 1 posò sotto il polo Nord una bandiera russa, fatta di titanio e ben resistente all’acqua salmastra. Come dire: “Questa è casa nostra”. Da queste parti si ritiene che vi sia un quarto delle risorse modiali di idrocarburi: totalmente intonse. E senza i problemi derivanti dalle lotte tribali e religiose che sconvolgono da la zona mediorientale.
Ma la quiete del gelo ovviamente potrebbe essere turbata, dalla nascente competizione per il controllo di queste risorse. Quale posto migliore per una riedizione aggiornata della “guerra fredda”? Eccetto che lo scenario dei contendenti è più ampio: a nord del continente americano c’è anche una competizione tra Stati Uniti e Canada.
In tali circostanze i paesi confinanti col circolo polare hanno preso ad avanzare pretese territoriali: il fatto che la Russia abbia già piantato la sua bandiera sul fondo marino rende molto evidente il problema. Anche gli altri confinanti, Canada, USA, Danimarca (la Groenlandia è norvegese) e Norvegia stanno avanzando le loro pretese territoriali.
Carlos Duarte, dell’Università dell’Australia Occidentale e del CSIC spagnolo (l’equivalente del CNR), sostiene che la rotta commerciale a nordovest, sopra Usa e Canada sarà la più importante del mondo nella seconda metà del XXI secolo.
Uno dei problemi che si pone è che le conoscenza relativa a questa regione inospitale sono poche e, a conseguenza della crescente competitività tra i Paesi e in particolare a seguito del conflitto ucraino, gli Stati tendono a ridurala sempre di più Recentemente da una basa artica russa sono stti cacciati i ricercato sttunitensi: non più graditi con l’aumento di tensioni a seguito della crisi in Ucraina.
L’Artico è un po’ una “nuova frontiera”. Una terra di nessuno dove l’umanità potrebbe trovare modo di collaborare a prescindere dalle differenze.
Nel 1961 il presidente J.F. Kennedy, in piena guerra fredda lanciò l’idea di una collaborazione tra Usa e Urss nell’esplorazione spaziale: e questa negli anni successivi si è materializzata fino a dar luogo alla Interntional Sapace Station: un’isola di collaborazione per uno spazio condiviso dove nessuno ha piantato la sua bandiera. Fino a ora.
Se si guardano assieme tutti questi fenomeni ci si chiede: che accadrà di quel sogno kennediano? Che accadrà dell’era di pace che si auspicava nascesse col crollo del Muro?
L’auspicio è che queste aree del mondo non siano abbandonate alla competizione per la conquista operata da coloro che hanno i mezzi tecnologici per farlo: che anche l’opinone pubblica se ne interessi e raffreni i rischi di nuove inutili tensioni.
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